La mia esperienza con la produttività
Contenuti dell'articolo:
Produttivo è un termine che chi mi conosce da vicino mi attribuisce spesso.
È una parola che nella società odierna assume dei connotati positivi, impregnati di rispetto e ammirazione.
Il mio rapporto con tale aspetto di vita è stato (e tuttora, a volte, è) combattuto, poiché per certi aspetti mi permette di raggiungere la serenità e per altri la sottrae e me la nasconde per molto tempo.
Negli ultimi anni l’ho ricercata e scoperta, fino a che non ha preso il sopravvento e si è impossessata delle mie giornate.
Il mio livello di stress interiore aumenta a dismisura nel momento in cui mi impone delle azioni sebbene il mio cervello desideri fare tutt’altro.
Nell’ultimo anno sono stato sotto il suo effetto.
La mia percezione delle giornate
Le mie giornate si concludevano in maniera “soddisfacente” quando erano costituite da attività produttive per me stesso e per la mia crescita.
I momenti passati nell’ozio me li ha fatti pesare, facendomi credere un nullafacente.
Assieme alla produttività si è affiancata la disciplina e il rigore nel compiere le attività.
Una combinazioni di sensazioni che se non controllate possono sfociare nell’autodistruzione.
Le persone accanto a me ammiravano ciò che facevo o realizzavo grazie al mio essere “produttivo”.
Io però rinnegavo in ogni modo il mio compiuto in quanto la mia disciplina mi portava a credere che era ciò che dovevo semplicemente compiere.
Era mio Dovere fare quella specifica cosa, non dovevo meritare ringraziamenti o applausi.
Il limite che questi Demoni mi imponevano era sempre più elevato del livello che raggiungevo.
La produttività ritengo di averla mal gestita.
Si è fatta possesso di me e si è trasformata in una sorta di droga mentale.
Più ne facevo uso e meno sentivo il suo effetto.
Quindi facevo di più, ma la mia percezione di essa si abbassava proporzionalmente.
Un gioco vizioso.
La mia disciplina mi rendeva rigido sulle azioni.
“O fai X oppure stai solo sprecando tempo” mi dicevo.
I pochi momenti di lucidità
Che dire per chi mi stava attorno..
Non parlo dei colleghi o amici, parlo della mia ex ragazza e dei miei genitori.
Erano preoccupati senza dubbio.
Vedevano la mia soddisfazione quando passavo 14/16 ore al giorno davanti al computer a lavorare sui miei progetti.
Avevo pochi attimi di lucidità su cui riflettevo riguardo a ciò, e in questi momenti crollavo.
La soluzione era una: cercare l’equilibrio.
L’equilibrio però mi scombussolava i piani.
Voglio arriva in alto, e la soluzione mi sembrava puntare inevitabilmente sulla produttività.
Quando uscivo a cena o passavo del tempo con gli amici il mio cervello mi puniva, mi distruggeva psicologicamente, perchè era proprio ciò che lo avevo allenato a fare.
Ero il giudice di me stesso. Un giudice stronzo però.
Fino a che non è arrivato un giorno, in cui la sentenza non è stata di mia volontà.
Il mio corpo era stanco e la mia mente combatteva per continuare ad elaborare informazioni e pensieri.
Si spensero piano piano, lentamente, come la fiamma di una candela a cui manca l’ossigeno.
Ecco, la mia fiamma che per mesi avevo alimentato per farla diventare la fiamma più alta di tutte ad un certo punto si spense all’improvviso.
Eccolo arrivato, il cosi temuto Burnout.
Mi ammalai con febbre alta e il mio corpo finì quelle energie che per molto tempo aveva cercato di fornirmi oltre i miei stessi limiti.
Quel Dio che avevo venerato per tanto tempo, la produttività, si trasformò nel mio peggior nemico.
Le settimane che seguirono furono dure.
Guarì ma la mia motivazione svanì nel vuoto.
Questo è l’effetto collaterale del burnout.
La soluzione nell’equilibrio
L’equilibrio che prima era ciò che mi destabilizzava ora era ciò di cui necessitavo.
Riluttante nell’aprirsi a me per averlo rinnegato per molto tempo iniziò a dare dei primi accenni della sua presenza.
L’equilibrio tra la propria vita personale e professionale diventò il mio obiettivo.
Ad oggi, a distanza di qualche mese devo ancora trovare il mio equilibrio.
Una parte di me vuole raggiungere degli obiettivi ambiziosi, e per farlo tende a tenermi ancorato al mio pc, succube di un modello ancora resiliente nel mio cervello.
L’altra parte di me intende godersi i bei momenti, ma ancora devo comprendere quali sono e come conciliarli con l’altra mia parte sopra citata.
La produttività dunque mi ha portato a odiarmi per certe scelte e a pormi in contrasto con me stesso.
Ecco la ragione per cui ad oggi vivo nell’incertezza.
Faccio fatica a compiere delle scelte.
Quando sono tenuto a scegliere, il mio cervello si divide sempre nelle sue due parti le quali combattono tra di loro e di rado si conciliano, non permettendomi di vivere con spensieratezza ciò che faccio.
Uno spunto che credo di aver imparato ma che non sempre trovo di facile applicazione riguarda l’organizzazione.
Cerco di dedicarmi per un preciso totale di ore ad attività che possano appagare la mia produttività e altri momenti per appagare il mio equilibrio.
Non c’è un’esatta fine per questo scritto, ogni giorno vivo in modo diverso dal precedente questi demoni.
È meglio imparare a domarli prima che si impadroniscano dei pensieri.
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